ARCICONFRATERNITA DI MARIA SS. DEL CARMINE

La confraternita di Maria SS. del Carmelo vide la luce il 15 maggio 1604 per iniziativa di alcuni ecclesiastici e cittadini, ai quali il vescovo Gaspare Pasquali concesse il nulla osta alla fondazione ed all'approvazione delle regole. Nello stesso anno al pio sodalizio venne concesso (con un pio legato di tale Don Giuseppe Ruta) il beneficio perpetuo dell’utilizzo della chiesa di S. Vito. Le regole statutarie vennero poi confermate prima con una "breve" di Papa Paolo V (23/12/1615) e successivamente con un Decreto di Clemente X (4/9/1675).
La congregazione divenne ben presto la più ricca e influente della diocesi di Ruvo e svolse un ruolo fondamentale di controllo sociale tramite le sue numerose iniziative di assistenza e beneficenza. Tali attività non si esaurivano all'interno della pia associazione, ma coinvolgevano l'intera comunità rubastina.
Due confratelli nominati mensilmente dal rettore, infatti, avevano il compito di visitare quotidianamente i carcerati, assistendoli materialmente oltre che spiritualmente. A tal fine, i due associati ogni giovedì compivano un giro della città per chiedere l’elemosina. Ad altri due congregati spettava poi il compito di visitare gli ammalati, fornendo loro vitto e medicine (queste ultime dal Monte di Pieta) raccolte elemosinando il martedì e il venerdì.
Nei tempi della raccolta dell’orzo, del grano e dei legumi un'altra coppia di confratelli vagava per le campagne raccogliendo vettovaglie che poi erano conservate per l'inverno o per altri tempi di necessita. In città si raccoglieva altresì il denaro per i lavori della fabbrica della chiesa di S. Vito e dell'oratorio confraternale.
Cosi come l'attività assistenziale, anche le pratiche cultuali e devozionali non si esaurivano nell’ambito della confraternita ma erano indirizzate a tutta la comunità: ciò fece si che la pia associazione si ergesse a modello dei culti e dei comportamenti devozionali raccomandati dalla Chiesa dopo la conclusione del Concilio di Trento. Ricordiamo il culto mariano (quello centrale), quello dell'Eucaristia, quelli di S. Marco e dell’Angelo Custode.
Molto sentito era poi il culto della Passione di Cristo e dei Misteri Dolorosi: a tale scopo, infatti, la confraternita si procurò dei simulacri molto belli e suggestivi per la processione del Venerdì Santo che si svolge tutt'oggi.
Nel secolo XVIII il regime borbonico produsse un'imponente opera legislativa mirata a riaffermare la tesi della "laicità" delle congregazioni e dei luoghi pii in generale.
Ciò ebbe due importanti ripercussioni su una confraternita come quella del Carmine, fondata e costituita in buona parte da ecclesiastici e nella quale i prelati occupavano importanti cariche direzionali e amministrative. Si pensi ad esempio che nel 1752 ben 42 dei 141 consociati erano chierici.
Le deliberazioni del Rescritto Reale del 21 luglio 1753, a più riprese ribadite anche negli anni successivi, ridimensionarono decisamente la presenza degli uomini di chiesa nell'amministrazione delle confraternite e precisarono che gli ecclesiastici dovessero essere sostituiti con i laici nelle cariche ufficiali. Addirittura nel 1761 si prescrisse che i prelati venissero privati di ogni voce (anche passiva) nell'elezione degli ufficiali, venendo persino diffidati dal presenziare alle riunioni per il rinnovo delle cariche amministrative in quanto elementi superflui e disturbatori!
Nel 1763, dunque, lo statuto confraternale venne modificato negli articoli concernenti la figura ecclesiastica del Rettore che fu sostituita con quella laica del Priore e in quelli che regolavano la pratica delle "questue" (ovvero la vendita di prodotti della terra per raccogliere offerte), per le quali era necessario chiedere l'autorizzazione regia, rimanendo per il resto immutato. II Regio Assenso di Ferdinando IV giunse il 30 maggio dello stesso anno.
.
- Testo e foto sono tratti dal sito Cattedrale di Ruvo.